sabato 24 marzo 2018

L’organizzazione dei servizi scolastici per l’infanzia al Comune di Arezzo: Politica educativa all’insegna di mezze verità, ipocrisie e scarsa lungimiranza.

Con una serie di dichiarazioni a effetto l'assessora Tanti sta preparando il terreno per l’approvazione di un ulteriore atto delle sciagurate politiche comunali in materia di servizi educativi e sociali.
Come nei casi precedenti, le proposte della Giunta Ghinelli saranno approvate da un Consiglio comunale popolato da distratti Consiglieri e saranno accolte da una cittadinanza male informata. Basta ricordare lo scarso interesse che hanno sollevato le recenti decisioni sul nuovo Regolamento di Polizia Urbana e sulla dismissione della Casa delle Culture.
Del resto, con un po’ di voglia di approfondire, si scoprirebbe presto il reale intento del Comune: procedere, sotto mentite spoglie, con l’esternalizzazione dei servizi pubblici, tristemente introdotta e portata avanti dalle precedenti Giunte di centrosinistra, con ulteriore perdita del ruolo di regolatore che sarebbe proprio dell’Ente pubblico; introdurre un tetto per l’accesso degli stranieri, chiudendo ulteriormente gli spazi pubblici ad una reale ed efficace integrazione, politica peraltro imbaldanzita dal recente risultato elettorale, che ha visto gli elettori precipitarsi nel vortice della guerra fra poveri, individuando ingiustamente negli immigrati – e, come in questo caso, nei loro figli, ancorché nati nel suolo italiano – i responsabili della attuale crisi.
Per di più la deliberazione che sarà sottoposta al voto consiliare è accompagnata da una relazione ricca di dati, redatta dalla solita solerte dirigenza responsabile del triste naufragio della Casa delle Culture. Peccato per la mendacità dell’analisi. Intanto, per dimostrare il calo della domanda si applicano anche i dati relativi all’anno scolastico 2018-19, solo che il Comune non ha ancora pubblicato i relativi bandi per l’ammissione. Poi, visto che i dati impiegati sono relativi all’intero sistema integrato, cioè alle strutture comunali ma anche a quelle del privato, perché si decide di ridurre l’offerta delle strutture comunali, mentre l’offerta della gestione indiretta aumenta? Quindi si decide di cedere di fronte al privato? Non è vietato, però che lo si dica onestamente!
E non è nemmeno onesto dire che il ridimensionamento dell’offerta a gestione diretta sia ispirata a criteri di economicità, dato che grazie al sistema integrato il Comune integra le rette scolastiche anche per le strutture private! Cioè il Comune letteralmente compra posti nelle strutture private pagando una parte della retta. Alla faccia dell’epigrafe posta in fronte alla suddetta relazione: “non esistono i soldi pubblici, esistono solo i soldi dei contribuenti”!
Secondo Rifondazione Comunista di Arezzo dietro l’operazione c’è il solito trucco, impiegato del resto anche in Sanità: si riduce l’offerta pubblica, peggiorandone le condizioni, in favore dell’imprenditoria privata, per di più sovvenzionata; i cittadini finiscono per trovare migliore l’offerta privata, che grazie a minori spese e minori diritti dei lavoratori finisce per offrire un miglior prodotto a un costo inferiore, e il circolo vizioso è irrimediabilmente innescato.
Infine, sull’idea di porre un tetto agli accessi dei bambini stranieri nelle scuole stendiamo un velo pietoso: come si può essere così miopi da non capire che una vera integrazione, quindi un’effettiva convivenza civile fra le varie culture presenti in una città, parte proprio dalla scuola? Come si pretende che i bambini figli di stranieri possano imparare le nostre “sane regole civili” se non li accogliamo nelle nostre scuole, senza limiti di sorta? Ma poi, è così sicura l’Assessora Tanti delle difficoltà di apprendimento dei figli di stranieri, che sono abituati a parlare due o più lingue fin da piccoli? E che fra l’altro a sentirli parlare all’uscita dalla scuola parlano aretino come gli altri.
E’ vero che ormai la politica si è ridotta a parlare alla pancia dei cittadini, ma qua si sta scendendo sotto il livello di guardia!

domenica 29 ottobre 2017

“Quando le imprese si affacciano sulla cultura la corrompono.”



L’ha dichiarato il musicista londinese Eddie Piller, che forse ai più risulterà sconosciuto. Però l’affermazione è purtroppo appropriata per preannunciare la fine che faranno anche nella nostra città le politiche culturali.
Lo aveva preannunciato  il Sindaco Ghinelli lo scorso luglio, lo ha confermato l’assessore Comanducci la scorsa settimana: la gestione della cultura del Comune di Arezzo dal 2018 uscirà dalle stanze del Palazzo Comunale, per passare nelle “agili” mani di manager e consiglieri d’amministrazione delle fondazioni che saranno all’uopo costituite.
Di solito, coloro che promuovono enti di diritto privato per la gestione di servizi pubblici evocano la necessità di introdurre criteri aziendalistici di efficienza, efficacia ed economicità, cui si aggiungerebbe una copiosa messe di capitali provenienti dall’impresa privata. Purtroppo conosciamo esiti ben meno aulici dall’esperienza delle numerose fondazioni promosse da enti territoriali (checché ne dica l’assessore Comanducci, nel nostro Paese sono già attive migliaia di fondazioni, che amministrano di tutto: dalla cultura ai servizi sociali). Secondo voi, aumenteranno oppure diminuiranno le possibilità per i cittadini e i loro rappresentanti in Consiglio comunale di controllare ed analizzare i bilanci delle fondazioni ed il loro operato? I loro appalti ed i compensi elargiti?
In compenso arriveranno un altro paio di Consigli di amministrazione ed altri dirigenti da stipendiare. Siamo proprio sicuri che questi avranno come obiettivo prioritario la crescita culturale della nostra città? O non dovranno rispondere invece ai tanto agognati finanziatori privati, interessati al destino dei capitali investiti, altro che all’interesse pubblico?
Le politiche culturali di un Comune dovrebbero essere orientate verso una crescita educativo-culturale della comunità di riferimento, prescindendo dai risvolti economici e dall’attrazione turistica che ne può risultare. La nostra preoccupazione è che invece nei sogni di Ghinelli, Comanducci e dei dirigenti delle associazioni di categoria e delle imprese che entreranno in gioco vi sia una città trasformata in mercatino internazionale 365 giorni all’anno, con una cultura proiettata back in time.
I nostri amministratori promettono che la gestione sarà guidata da un manager. Non erano buoni quelli che già abbiamo in Comune? E ne sono stati assunti altri pochi mesi fa. Con quali risultati? Per cominciare con l’affidamento ad un (dicasi uno) consulente ad hoc che in un mese predisporrà il progetto per la costituzione delle fondazioni (alla modica cifra di 14.640 €; non male quanto all’economicità sopra evocata).
Con l’affidamento delle politiche culturali a istituzioni private esterne alla pubblica amministrazione si darà un’altra mazzata al sistema del governo locale, già duramente colpito dai Governi di centro-sinistra-destra, regionali e nazionali, per esempio con la creazione delle Aree vaste e con l’allontanamento delle Provincie dal voto popolare.
Un’ultima annotazione (anche se, trattandosi di lavoratori, per Rifondazione Comunista rappresenta questione prioritaria). Come noto, al momento della costituzione di una fondazione i promotori conferiscono un capitale. Comanducci afferma che il Comune socio fondatore metterà un milione di euro tra personale e proventi dalla tassa di soggiorno. Il PRC tiene a specificare che i lavoratori coinvolti nel progetto sono esseri umani, non pedine né moneta di scambio. Auspichiamo che prima di qualunque atto concernente la collocazione di dipendenti, che hanno a suo tempo scelto di lavorare presso un ente pubblico, questi siano ascoltati e sia data loro la possibilità di optare per la permanenza alle dipendenze del Comune di Arezzo o il passaggio al nuovo ente. Inoltre, siamo ahinoi facili Cassandre nel prevedere che gli ulteriori posti di lavoro promessi saranno all’insegna del precariato e dello sfruttamento, quando non affidati a volontari o liceali gentilmente offerti dalla “Buona Scuola” di Renzi & C.